Mi piace molto Chiara Gamberale. Mi è sempre piaciuta, poi l’ho conosciuta anche di persona un paio d’anni fa il giorno che ha presentato Per Dieci Minuti alla libreria Arion di Via Nazionale a Roma e l’ho amata ancora di più.
Io ero appena uscita da un pomeriggio che Serendipity fammi un baffo, ero in libreria con largo anticipo e mi ero messa a leggere quando un signore che avrebbe potuto essere mio padre si era seduto accanto a me e aveva cominciato a raccontarmi la sua vita di solitudine, e io come sempre mi ero impietosita ed ero rimasta ad ascoltarlo non so più per quanto tempo. E aveva anche un alito tremendo, il che mi aveva fatto capire che ero entrata in modalità “espiazione di atroci colpe passate non ben identificate”.
Poi come spesso accade la cosa aveva preso una strana piega: si era avvicinato lentamente, mi aveva chiesto di rivederci, di dargli il mio numero così avrebbe avuto qualcuno con cui parlare. Insomma si stava passando dal tenero al viscido e dopo aver più volte cercato invano di rimettermi a leggere, avevo alzato lo sguardo e lì tra la folla della libreria era apparso un mio ex che non vedevo da tempo.
In un altro momento forse avrei fatto finta di non vederlo ma allora, presa dallo sgomento, gli avevo lanciato inutilmente uno sguardo che diceva “aiutami” (una donna in questo caso avrebbe capito subito, siamo abituate al linguaggio visivo dei salvataggi da accollo) e a quel punto mi ero alzata di scatto urlando il suo nome per salutarlo e abbracciarlo con grande entusiasmo e con suo ovvio sgomento.
Il finale da film avrebbe previsto che lui si inginocchiasse e mi porgesse un anello tra gli applausi degli astanti, anche perchè era lì per me (maledetti eventi di Facebook) e per un poco casuale sciopero dei mezzi. Il finale reale fu che lui si addormentò durante la presentazione del libro. E vabbè.
Ad ogni modo, sconvolta da questo turbinio di esperienze mi avvicino alla Gamberale per farle firmare il libro e le racconto in breve in cosa ero incappata per venire alla sua presentazione. E le dico, come se stessi parlando a un’amica di vecchia data: “Non so se ti rendi conto, dimmi che ce la posso fare”. E lei, con la massima naturalezza: “Ce la possiamo fare. Ce la dobbiamo fare. Insieme”.
Poi mi ha scritto questo:
e anche se sto ancora aspettando molto, nel frattempo qualcosa ho avuto e non mi lamento. Grazie.
Ma basta divagare, parliamo del nuovo libro: “Adesso”.
Rispetto agli altri, ci ho messo un po’ di tempo a leggerlo. Mi ha attivato un tale caos nella testache ogni tanto ho dovuto abbandonarlo e buttarmi su letture totalmente diverse: tipo un libro di cucina, per intenderci. Ho cominciato a confondere i personaggi, le sue amiche con le mie, i suoi ex con i miei, gli altri uomini con i fidanzati delle mie amiche. Insomma, un delirio. Però alcune cose mi sono rimaste bene in testa:
«Hai sempre preferito essere libera piuttosto che felice. Dì la verità».
Molte donne della mia generazione l’hanno pensato a lungo, è vero. La maggior parte di noi ha scelto la libertà perchè ad un certo punto hanno pensato che stare in una relazione voleva dire non poter più fare certe cose, non poter più vivere dove volevano, aspettare il giorno in cui lui gioca a calcetto per uscire con le amiche. Molte lo fanno, sì nel 2016, e non so se stiano bene davvero o fingano. Ma a molte di noi invece non bastava.
Oggi abbiamo capito che non è per forza così, che non bisogna scegliere per forza tra amore e libertà, che non ci importa se lui non ci chiama tutti i giorni alla stessa ora o se ha delle passioni che lo portano lontano da noi. E che quindi dall’altra parte se non gli spacchiamo le palle ogni cinque minuti non vuol dire che non ci interessa ma che abbiamo fatto un lunghissimo percorso per stare bene con noi stesse proprio per poter stare bene con lui.
Purché, dettaglio non trascurabile, lui abbia pienamente capito di essere in una relazione con noi. Il che non è sempre scontato, dato che ancora ci sentiamo dire cose del tipo:
“Gli uomini non vogliono le carinerie. Vogliono le stronze e le egocentriche. E vogliono una sfida”.
E questo non lo dico io o la Gamberale stavolta, ma il protagonista di Casual(una serie tv che vi consiglio assolutamente di vedere) alla sorella che sta cercando di capire come rimettersi su piazza dopo un divorzio. Pensare a una relazione come una sfida, come un gioco delle parti, va bene se poi riuscite a tenervi accanto una ventenne (o peggio una trenta-quarantenne che pensa come una ventenne) con tutte le conseguenze. Noi, quelle che sanno chi sono di cui sopra, non abbiamo più alcuna voglia di giocare al gatto e al topo. Se non nell’intimità, ovviamente.
E poi:
«Che ne puoi sapere tu, di cosa significa avere un figlio. Sei brava a pontificare di amore e dolore perchè affronti la vita vera solo in teoria, dall’eterna adolescente viziata che sei.»
Gli uomini che hanno già dei figli sono preoccupati del fatto che una donna senza figli non possa mai capire cosa significhi e quindi possa erroneamente pensare di dover venire prima di tutto. Lasciatevi dire una cosa banale: la maggior parte di noi ama o ha amato follemente suo padre. Incontrare un uomo che è già padre è come incontrare qualcuno che è già come l’uomo che abbiamo sempre sognato e se mai metteste noi al di sopra dei vostri figli sareste perciò immediatamente squalificati. E poi, anche qui, il rovescio della medaglia:
«Che ne puoi sapere tu, Pietro. Che ne puoi sapere tu di cosa significa, alla mia età, non avercelo un figlio.»
Per inciso: non ce l’ho con gli uomini. Io adoro gli uomini. Parlo da donna, per quello parlo di uomini. Anzi, il bello dei quaranta è che diventi più morbida nei giudizi. E hai la scorza ormai, e ti rimetti in sesto più velocemente senza bisogno di rigare macchine o piangere per mesi. E so bene che anche dall’altra parte voi uomini avete un bel po’ di difficoltà con noi.
E ho capito anche che non esistono persone non disponibili, emotivamente e fisicamente. Esistono persone che hanno Paura, una fottuta e sacrosanta Paura con la P maiuscola, fatta di un ingarbugliato miscuglio di separazioni, abbandoni, abitudini, abbagli e innumerevoli cazzate. Una giustificatissima Paura, insomma.
«Quindi stare insieme a una persona, adesso, che cosa significa?». «Forse significa avere come presupposto la nostra complessità e quella dell’altra persona».
Sì, è proprio difficile stare insieme da grandi, non c’è verso.
Perchè è questione di:
«Tempo, spazio. Fiducia. Possibilità.»
Tutte cose complicatissime da far quadrare. Che però se si ha la forza di cominciare a cercarle e, allo stesso tempo, concederle, ho idea — e spero tanto di avere ragione — che l’amore da grandi possa proprio essere qualcosa di meraviglioso.