Quando ho letto per la prima volta il libro “Adesso Basta” di Simone Perotti, ossia l’autore che dovrò ringraziare sempre per avermi fatto capire che non ero pazza e non ero sola con le mie idee strampalate sul “non posso passare tutta la mia vita in un ufficio a fare questo”, ho sorriso nel rendermi conto che i nostri momenti di “sveglia” si assomigliavano.
Lui lo ebbe sul Grande Raccordo Anulare, io sulla Roma-Fiumicino.
Una mattina di sei anni fa il vecchio cellulare che usavo come sveglia non aveva suonato perché non si era aggiornato con l’ora legale e io mi ero svegliata all’improvviso stile scena iniziale di “Quattro matrimoni e un funerale”, ossia saltando come una molla dal letto e ripetendo “Cacchio! Cacchio! Cacchio!” (non proprio “cacchio” a dire il vero, ma insomma avete capito) perché da lì all’imbarco del mio aereo mancava una mezz’ora scarsa.
Ero volata in macchina in dieci minuti e mentre ero in autostrada verso l’aeroporto mi ero sostanzialmente “calmata” per una serie di motivi:
– avevo una macchina aziendale, un macchinone con il cambio automatico, che mi stava rendendo facile truccarmi mentre ero al volante (sì lo so che non si fa).
– arrivata in aeroporto potevo usufruire del car valet, ossia lasciare le chiavi a un addetto al parcheggio vip che voleva dire non fare la gimcana tra i parcheggi e chilometri dentro l’aeroporto ma arrivare subito all’imbarco.
– lì ci sarebbe stata la corsia Fast Track che mi avrebbe evitato la fila.
– se avessi perso il volo, mi sarebbe bastato andare al banco per farmelo cambiare oppure chiamare l’assistente in ufficio che mi avrebbe subito mandato la nuova carta d’imbarco sul Blackberry.
– una volta a Milano, taxi pronto agli arrivi, buono gratis per non perdere tempo al momento del pagamento e via in ufficio per l’ennesima riunione inutile in cui mi sarei chiesta tutto il tempo “qual è davvero il senso del mio essere qui?”.
Fu in quel momento che mi resi conto del fatto che tutta la mia vita lavorativa, anche al di là delle trasferte, era fatta tutta di gesti automatici, che ripetevo ogni giorno sempre uguali, e che quella sera sarei sbarcata a Roma al tramonto e avrei ripetuto altri gesti automatici che mi avrebbero portato fino a casa stremata.
Ebbi la sensazione di capire in maniera lampante l’espressione “come il criceto nella ruota”: la mia era una ruota dorata oltretutto, ma perché mi sentivo così infelice?
Grazie a quella sveglia sballata forse si mosse qualche neurone divergente e cominciai ad elencare nella mia testa tutti i motivi per cui non potevo e soprattutto non volevo andare avanti così, per poi cominciare nei mesi successivi quel lungo e tortuoso percorso che mi ha portato fin qui.
7 segnali per cui dovresti cominciare a pensare di lasciare il tuo lavoro
(e sì, anche se hai più di 40 anni)
Molte delle persone che oggi si rivolgono a me si meravigliano del fatto che, quando mi confessano qualcosa di tremendamente personale (secondo loro) che gli fa pensare di non voler fare più il lavoro che fanno, io rispondo sempre con “ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho”.
E allora eccoti qui i segnali che possono farti capire che è il momento di fare sul serio e darti una chance di vedere cosa possa esserci dall’altra parte, compatibilmente ovviamente con i tuoi tempi e le tue necessità personali e familiari (tradotto: se non sei miliardario meglio avere un piano!):
1. Piangi mentre vai al lavoro: in macchina, in motorino o sui mezzi dietro gli occhiali da sole. Sono le 8 del mattino e ti senti già senza forze, magari perché durante il sonno (se ti è andata “bene”) oppure durante le tue notti insonni, hai fatto dialoghi immaginari con il tuo capo o con un collega che non sopporti, oppure ti ha preso l’ansia per qualcosa che devi fare l’indomani. Oppure sei già incavolato/a e odi tutti, per le stesse ragioni. Magari te la prendi con il lavavetri ma in cuor tuo sai che non è affatto colpa sua.
2. Colon irritabile e difficoltà digestive, attacchi di panico, cervicale infiammata, eruzioni cutanee e prurito, mal di testa perenne. Benvenuto/a! Non sono una bomba di salute ora, ma non faccio più tante visite in farmacia e ho i fastidi di una persona normale, non più tutti quelli elencati sempre e a ripetizione.
3. Nel weekend non hai la forza e la voglia di fare molto, anzi spesso ti ammali e il venerdì sera hai un mal di testa orribile. Questo vale anche durante le vacanze perché, come dice la frase di un Anonimo Lavoratore scritta su un segnalibro che ho sempre con me: “È difficile fare vacanze intelligenti dopo undici mesi di lavoro cretino”. L’energia si nutre di energia, ça va sans dire.
4. Passi il tempo a lamentarti, tanto che ti annoi da solo di te stesso. In ufficio lo fai con i colleghi fidati, fuori ammorbi partner, amici e parenti che ti dicono – perché con gli altri è sempre facile – “scusa ma se stai cosi male perché non molli?” oppure, versione genitori, “il lavoro è lavoro”. Consiglio in quest’ultimo caso: fai presente ai tuoi genitori che loro in ufficio mediamente non avevano pc, mail, cellulare e via dicendo e chiedi loro di riflettere su come si sarebbero sentiti se gli stimoli che ricevevano quotidianamente si fossero moltiplicati ogni giorno per un milione di volte.
5. Ti senti poco gratificato/a. Eppure quando leggi gli annunci per cambiare lavoro – ammesso che ce ne siano – non capisci perché non riesci a rispondere. Te lo spiego io: dentro di te hai capito una cosa fondamentale, ossia che dovunque andrai sarà sempre così. Te lo dice una che ha cambiato azienda ogni volta che le cose andavano male, che c’era una riorganizzazione senza senso, che arrivava il capo cretino a soppiantare non si sa perché quello bravo. Non sei pazzo/a, e non sono migliori quelli che non provano queste cose. Siamo diversi, e qualcuno di noi non è fatto per tutto questo, non fino in fondo almeno.
6. Non riesci a mettere da parte nulla del tuo stipendio. Questa ti potrà sembrare strana ma ti assicuro che per rendere la tua vita meno difficile e amara dovrai spendere più soldi rispetto a quando sei padrone del tuo tempo. Della serie “faccio già una vita di merda, vuoi che in ufficio non controlli nemmeno le vendite online per gratificarmi?”. Ti svelo un segreto: da anni ho annullato tutte le iscrizioni alle vendite private di questo tipo e vivo benissimo senza. Per non parlare dei soldi che puoi risparmiare andando a fare la spesa al mercato, evitando JustEat e simili perché non hai tempo e voglia di cucinare, non viaggiando solo nei periodi in cui tutto costa tanto, non sprecare benzina mentre sei bloccato nel traffico, non andare per forza nella palestra o dall’estetista costosa vicino all’ufficio e via dicendo.
7. Ti sei reso/a conto che non salvi vite umane. Cioè se lo fai, grazie! Ma nella maggior parte dei casi la mancanza di senso in quello che fai è il miglior indicatore di qualcosa che non va. Soprattutto quando a corredo del tuo lavoro, hai tutta una serie di incombenze legate alla “mission” dell’azienda, come quella di sacrificare giornate intere in team-building ridicoli oppure “la giornata di volontariato aziendale”. Una giornata per l’appunto. Giusto per fare le foto da condividere sui social dell’azienda. Fare un lavoro che abbia un senso vuol dire tutt’altro, e non vuole dire necessariamente lavorare nel sociale. Ben venga ovviamente, ma in linea generale se quello che fai ha un senso per te, garantito che anche il mondo intero ne beneficerà in qualche modo.
Se sei arrivato/a a leggere fin qui innanzitutto grazie e poi… qualcosa vorrà dire, no?
Di motivi ovviamente ce ne sarebbero molti altri, e di paure altrettante (lo so, lo so) ma se ti stai chiedendo – come mi chiedono praticamente tutti – “torneresti mai indietro?”, io ti rispondo di no con certezza e anzi ti dico che avrei voluto farlo prima.
Ma anche che non si è mai abbastanza vecchi per farlo.
E che non bisogna essere pazzi, ma rimboccarsi le maniche e cominciare a fare un piano.
La mia frase guida in questo periodo è “ciò su cui ti focalizzi si espande” quindi meno penserai alle cose che non vanno – le ho scritte apposta con l’intento di togliertele dalla testolina in cui ballano probabilmente da troppo tempo – più energia potrai dedicare al NUOVO.
Non ti dà già una bella sensazione leggerlo così, maiuscolo?
E ora che sarai sicuramente curiosa/o di sapere cosa cominciare concretamente a fare per uscire da tutto questo, puoi intanto iscriverti qui alla mia newsletter e magari raccontarmi la tua storia scrivendomi all’indirizzo: info@monicalasaponara.it
Ti aspetto! 🙂