Quando lavoravo in azienda avevo un’idea ben precisa di cosa volessi dalle mie ferie: niente sveglia a orari fissi, totale libertà, nessuna mail o telefonata fastidiosa da capi o colleghi.
Qualche volta mi è andata bene, qualche altra no. Mi è addirittura capitato di venire a sapere di una riorganizzazione aziendale durante le ferie, e di non aver avuto modo di capire nel mentre – le scrivono apposta nebulose queste comunicazioni, è chiaro – se al rientro avessi trovato o meno la mia scrivania. Immaginate il relax da quel momento in poi.
Per non parlare di quando mi hanno chiamato mentre ero alle cosiddette falde del Kilimangiaro e vedendo il numero ho pensato “per chiamarmi qui, ora, in questo momento, sapendo dove sono, deve essere andato a fuoco l’ufficio” e invece qualcuno voleva solo sapere dov’era un file senza aver lontanamente pensato alla funzione “cerca” presente in qualunque rete aziendale del mondo. Vabbè, ci siamo capiti.
Quando tre anni fa ho lasciato il lavoro non avevo invece ben chiaro quale sarebbe stato da quel momento in poi il mio nuovo concetto di vacanza. Per i primi due anni mi sono comportata come se fossi ancora dipendente: insomma era agosto e bisognava partire.
Quest’anno, pur essendo stato bello pieno, non sentivo la necessità dello stacco vero e proprio. Per quanto faticoso, non avevo fatto nulla dopotutto che non andasse – a me – di fare.
Così a fine agosto, esattamente quando tutta Italia è rientrata al lavoro (e i voli per Atene costano 18€!) ho preso il mio Mac e l’ho portato in Grecia in un posto sul mare in cui si va per scrivere/creare.
Ed è qui che ho capito come vorrei che fossero le vacanze e come vorrei di riflesso che diventasse tutta la mia vita: la sveglia dettata dalla natura, yoga di fronte al mare, colazione (e tutti gli altri pasti) solo a base di prodotti locali e di stagione, per poi mettere in uno zaino sia il computer che il telo per il mare e andare alla ricerca di un posto congeniale. Qualche ora di lavoro e poi pranzo e pomeriggio al mare, sempre con un quaderno sottomano ché come scrive Emma Seppälä (che nella vita fa un lavoro meraviglioso perché dirige, a Stanford, il Centro di Ricerca per l’educazione alla Comprensione e all’Altruismo) nel libro The Happiness Track (sottotitolo: «Come applicare la scienza della felicità per accelerare il tuo successo») sono i momenti di noia apparente quelli in cui riusciamo a creare meglio.
Meditazione al tramonto, cena, quattro chiacchiere con persone di ogni parte del mondo (altra botta naturale di ispirazione) e poi il riposo cullata dalle onde del mare.
Il telefono per lo più a debita distanza, niente wi-fi tranne che in una taverna a 20 minuti di cammino, utile per fare un po’ di moto e continuare a tenere il filo dei miei clienti e di incombenze varie, non più dunque come riempitivo di pause o buco nero di tempo perso.
Il risultato? Per quel che mi riguarda, posso lavorare stando in vacanza.
Con sole tre-quattro ore di lavoro al giorno ho sperimentato una altissima produttività (evviva Tim Ferriss) e completato progetti che mi trascinavo da mesi. Di conseguenza: nessun senso di colpa (noi freelance o cosiddettientrepreneur ne abbiamo tantissimi, soprattutto se bacati da anni di responsabilità aziendali) per la parte “vacation” della giornata.
Anzi, alla fine direi che quello che mi piace di più di tutto questo sia proprio il non avere soluzione di continuità: nessun vero stacco ma allo stesso tempo nessun peso, solo a fine giornata la consapevolezza di aver portato a casa qualcosa per sé.
Nel mentre una cosa mi ha molto colpito: ho postato su Facebook una foto di un computer vicino al mare e qualcuno mi ha commentato “tutto molto bello tranne il pc”. Ed è lì che ho sentito la necessità di scrivere questo post.
Perché certo, avere un computer dietro se sei in ferie non è il massimo.
Ma pensare invece che se ce l’hai puoi lavorare dove vuoi e quando vuoi senza dover necessariamente scandire il tuo tempo attraverso quelle due-tre settimane all’anno in cui ti ritrovi nel vortice del “ci metto una settimana a riprendermi, poi appena capisco che sto una meraviglia è già tempo di pensare al rientro e mi deprimo”, beh io sono per la workation tutta la vita.
Diciamocelo chiaro, alla fine non possiamo rinunciare al progresso, io poi non voglio, in questo sono una bolelliana (se siete curiosi e non conoscete il filosofo Franco Bolelli iniziate con il semplice Viva tutto! l’intervista reciproca con Jovanotti – garantita una botta di vita e pensiero positivo) e con lui vedo nel progresso vantaggi, potenzialità ed energia vitale, uno strumento malleabile che possiamo plasmare in base alle nostre esigenze.
Perché ciò che conta non è avere o meno un computer dietro ma cosa ci fai con quel computer. Niente demonizzazioni insomma, ché se è vero che se avete solo due settimane di ferie all’anno è ovvio che il computer non lo volete vedere manco con il binocolo, è pur vero che oggi il computer e una connessione vi servono anche se volete aprire il classico baretto sulla spiaggia.
Se con quel computer sulla spiaggia o dove più vi aggrada, state infatti sviluppando un business, scrivendo il libro che avete sempre sognato di scrivere, dando forma a un’idea o semplicemente cercandola beh, ve lo dico, siete già un passo avanti.
Perché il viaggio non può e deve essere necessariamente un di-stacco dalle nostre vite, ma penso possa trovare una utilissima espressione come un momento/periodo di ispirazione e conoscenza.
Dopotutto le vacanze sono già momenti di riflessione e di buoni propositi, quindi l’importante è far sì che questi si concretizzino in qualcosa per non entrare in un loop di attesa della vacanza successiva e basta.
In un mondo dove gran parte delle posizioni lavorative scompariranno nei prossimi dieci anni, i business individuali cominciano ad avere un vero peso nell’economia perché frutto di intuizione di bisogni non soddisfatti dal mondo delle aziende, e i sistemi previdenziali sono al collasso (davvero volete aspettare la pensione a 65/70 anni per riacquistare la vostra libertà? freschi come rose, eh?), io vi consiglio – se avete come me il tarlo del “davvero non posso fare altro nella vita?” ma non potete giustamente permettervi di mollare il lavoro di punto di bianco – di cominciare a prendervi appena potete una settimana di ferie e di portare anche voi il computer in vacanza. E se non potete fare una settimana, non lamentatevi e iniziate con un weekend o una giornata intera non appena vi è possibile.
Scegliete un posto che vi ispiri, non abbiate paura della noia e della solitudine perché come dicevamo sono le sorelle della creatività e provate a buttare giù il progetto del vostro futuro ideale.
Poi, al solito, se vi serve una mano per dargli un senso e renderlo reale, potete iniziare dalla prova gratuita del mio videocorso Escape! Cambio Lavoro, Vivo Felice.
Ché magari la prossima workation ce la facciamo insieme.
PS: questo post è stato scritto a Limnisa, ritiro per scrittori/artisti/creativi nell’Attica (Grecia), dove un’olandese e un inglese hanno pensato di mettere a disposizione la loro casa a chi abbia voglia di trovare uno spazio per rendere concrete le proprie idee e dove il concetto di workation trova perfetta espressione. Le foto che vedete sono state scattate tutte lì.